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Aiuti umanitari Trump li sospende, cosa succede in Africa


Dopo aver definito l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (Usaid) un’organizzazione «guidata da pazzi estremisti di sinistra», il presidente Donald Trump ha annunciato una decisione estrema: «Li caccerò», ha dichiarato lo scorso febbraio. Così è calata la scure dell’amministrazione americana sugli aiuti umanitari destinati all’Africa. Un silenzioso smantellamento di programmi vitali ha escluso improvvisamente milioni di persone da programmi sanitari, educativi e alimentari.

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Una scelta che rimescola l’assetto geopolitico e spiana la strada a Russia e Cina. Con strategie distinte, le potenze asiatiche stanno intensificando il loro impegno nel continente africano, cercando di consolidare una crescente influenza nelle sue dinamiche politiche ed economiche. 

«La Russia ha capito che il soft power può essere uno strumento potentissimo. E lo applica in Africa in una maniera abbastanza sofisticata», spiega Carolina De Stefano, storica e ricercatrice, esperta di politica russa. «Non stiamo parlando solo di operazioni militari come nel caso del Gruppo Wagner, ma anche di narrazioni, di religione ortodossa, di educazione. C’è tutta una strategia che si muove sottotraccia, molto efficace nel costruire consenso». Mosca, infatti, propone sé stessa come un partner alternativo all’Occidente, facendo leva su un messaggio ricorrente: rispetto della sovranità, anti-imperialismo e cooperazione “tra pari”. Un approccio che, secondo De Stefano, «intercetta la disillusione di molti governi africani verso le promesse non mantenute dell’Occidente».

Nel frattempo, la Cina continua a espandere la propria rete economica attraverso infrastrutture, finanziamenti e investimenti in settori strategici, consolidando una presenza ormai strutturale. 

Un recente report Luiss sul soft power russo nella regione MENA e in Africa, mostra come entrambe le potenze puntano più alla proiezione d’influenza che al sostegno umanitario vero e proprio. Le conseguenze sono tangibili. In Sudafrica sono stati cancellati migliaia di progetti per la lotta all’HIV, in Uganda, la sospensione dei fondi Usa ha paralizzato il programma antimalarico, il Programma Alimentare Mondiale ha chiuso la sua sede regionale in Africa australe. «Quando gli Stati Uniti si ritirano, lasciano spazio a chi ha una visione a lungo termine. E oggi, quella visione ce l’hanno Mosca e Pechino, non Washington», spiega De Stefano.

«L’emergere di nuovi attori della cooperazione non sostituirà la voragine lasciata da Usaid pari a 79 miliardi di dollari – ha detto a Zeta Ivana Borsotto, presidente della Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana – i 97 Soci Focsiv, presenti in 80 Paesi, ci raccontano di intere comunità la cui sicurezza alimentare nel giro di poche settimane non è più garantita e di ospedali chiusi in 10 giorni lasciando intere regioni senza nessun presidio sanitario». 

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Ma mentre Russia e Cina puntano all’Africa, il governo Trump non si ferma. Lo scorso mese, il presidente americano ha avviato un piano per offrire asilo a bianchi sudafricani desiderosi di trasferirsi negli Stati Uniti e che si sentono discriminati in quanto Afrikaner. Questo provvedimento è stato accolto con forte indignazione a Pretoria, capitale del Sudafrica, che ha definito le accuse di razzismo infondate.

In questo contesto di fratture e tensioni si inserisce il tentativo italiano di proporre un nuovo modello per l’Africa con il Piano Mattei. Alla fine del 2023, molto prima che Trump annunciasse la sospensione delle attività di Usaid, il governo Meloni ha presentato il “Piano Mattei”, una strategia di cooperazione con il continente africano che si sviluppa su sei direttrici: istruzione, sanità, acqua, agricoltura, energia e infrastrutture fisiche e digitali. All’inizio del 2025 l’unico dei tavoli programmati per lo sviluppo dei progetti che risultava attivo era quello sulla sicurezza energetica.

 «Noi crediamo che lo sviluppo non si possa ridurre alla sicurezza energetica, a estrarre minerali “preziosi”, e competere per mega commesse infrastrutturali» continua Borsotto. Il Piano è stato presentato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni come “lontano da logiche paternaliste o predatorie, ma «che lo sia dipenderà dal rispetto di alcune condizioni».· 

Della cabina di regia del Piano fanno parte anche Eni, Enel, Fincantieri e Snam (Società italiana metanodotti) e Med-Or la fondazione di Leonardo, ma anche Cassa depositi e prestiti (Cdp), e Sace (il gruppo assicurativo-finanziario controllato dal ministero dell’Economia), prefigurando così un forte rischio di conflitto di interessi perché siedono allo stesso tavolo enti finanziatori come Cdp e Sace ed enti beneficiari come Eni e Snam. «Il rischio è quello di “piegare” la cooperazione a fini politici per ridurre i flussi migratori ed economici per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico» continua Borsotto.

Infatti, oltre al pericolo che si tratti dell’ennesimo piano di sfruttamento delle risorse del continente africano, secondo Borsotto «preoccupa che tra gli obiettivi strategici del Piano ci sia “prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”» perché la cooperazione allo sviluppo «non è una politica migratoria che si traduce solo in respingimenti, ma anche in un strategia di integrazione di coloro che saranno italiani» dato che i flussi di rimesse verso i paesi in via di sviluppo ammontano a «600 miliardi di dollari secondo l’Onu valore superiore a quello di tutti gli investimenti esteri diretti verso quei Paesi e ben tre volte superiori ai 204 miliardi di aiuti allo sviluppo in essi investiti».

Ad essere in dubbio non è solo l’intento cooperativo del Piano, ma anche l’efficacia nel rendere competitiva l’Italia. Secondo Infocooperazione tra i 21 progetti presentati a dicembre 2024 dal governo, ci sono anche iniziative già approvate prima del vertice Italia-Africa, in cui è stato presentato il piano, e che sono state finalizzate all’interno di questa nuova cornice, come il Centro agroalimentare di Manica, promosso dalla cooperazione italiana nel 2021.  I progetti saranno guidati sia da enti pubblici che imprese private.

Il governo Meloni non è riuscito a recuperare soldi aggiuntivi rispetto a quelli già a disposizione per la cooperazione internazionale. Dei 5,5 miliardi tra crediti, operazioni a dono e garanzie, circa tre miliardi vengono Fondo italiano per il clima, istituito nel 2021 dal governo Draghi e supportato da tutti i partiti in parlamento eccetto che Fratelli d’Italia, ora al governo e i restanti due miliardi e mezzo vengono dal Programma per la cooperazione allo sviluppo, previsto dalla legge 125/2014.

«La portata di questa iniziativa italiana potrà essere pienamente efficace se coordinata con gli strumenti e le risorse comunitarie nell’ambito di una nuova stagione delle politiche di sviluppo europee verso l’Africa e il Mediterraneo, a partire dal Global Gateway – ha concluso Borsotto – considerata la vastità dell’obiettivo è inimmaginabile che l’Italia da sola ce la possa fare».

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